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mercoledì 29 settembre 2021

E invece...

Un anno e mezzo dopo, eccomi qua, a riscrivere su questo blog.
Credevo non ne avessi più bisogno, credevo che ormai la mia privacy fosse stata intaccata, e invece...

Sono qui.
Ho preso mille decisioni nel tempo, che mi hanno - inevitabilmente - portato a separarmi dalla mia vita precedente. E adesso sono single, con un lavoro più o meno stabile, e a casa, ormai da quasi un anno.

E di cosa ho bisogno, adesso? Beh, difficile...
Ho bisogno di amare me. Solo che il punto è che non riesco a farlo da sola, ma cerco sempre qualcuno a cui chiedere di amarmi un po' per sentirmi meglio con me stessa.

L'ho trovata questa persona? Assolutamente no. Ho amato altre persone in questo anno e mezzo oltre a Fabio? No, nemmeno quello. Mi sono innamorata una volta, di un ragazzo, l'altro anno, ma ho preferito lasciarlo andare perché non ero nello stato mentale giusto, perché ero confusa e perché avevo bisogno di ritrovarmi. Anche se alcune volte nei mesi l'ho pensato e volevo riportarmelo vicino, ma alla fine, trovo sempre un motivo - intelligente - per non farlo.

Mi sono ritrovata? Un po', ma mi sono di nuovo persa per strada, alla ricerca di qualcuno che la percorra assieme a me. Ma non sono ancora pronta. Non sono abbastanza sicura di me per farmi amare in una maniera corretta e, soprattutto, sana. Non riesco a stabilire un rapporto sano con me stessa, figuriamoci se riesco a farlo con qualcuno. E comunque, come posso pretendere di piacere agli altri se in primis non mi piaccio? E mi reputo abbastanza instabile da avere un cartello addosso con su scritto RED FLAG?

E' che ho talmente tanto bisogno di essere amata che sto facendo i gesti più disperati. Dal chiedere attenzioni ad un uomo convivente, al pretendere che una persona che abita all'estero, che mi ha visto solo una volta, mi scriva interessato, voglioso di conoscermi e di legare. Ma probabilmente sono io la prima a spingere via le persone  con questo disastro di pensieri, di cui non capisco né l'inizio né la fine, che mi urlano in continuazione di aver sbagliato troppe volte per potermi meritare un attimo di amore.

Eppure lo ricerco e spero di ritrovarlo negli occhi di chi mi guarda. 

sabato 14 marzo 2020

Perché?

Perché non riesco a non pensarti? Perché penso in continuazione che c'è un ritorno che in verità non ci sarà mai? Non si trasferirà mai più in Europa, e se lo facesse, l'ultima persona che vorrebbe vedere sono io. Sono a pezzi. Vorrei immaginarmi un futuro positivo ma è come se non riuscissi a lasciare andare il passato. Non riesco a lasciarlo andare. Ma mi devo convincere della decisione che ho preso. L'ho lasciato perché non mi supportava. Perché era troppo concentrato sui suoi bisogni. Non su quelli della coppia, e nemmeno un po' sui miei. Non eravamo fatti l'un per l'altra. Ma perché continuo a dirmi che la mia unica ancora di salvezza era quella di andare in America?

Adesso è un mese che ci siamo lasciati e tutto mi pesa. Mi pesa sullo stomaco.
Lo amo ancora. Come è possibile dopo tutto quello che abbiamo passato? Amare è sempre così doloroso?

martedì 3 marzo 2020

Responsabilità

Non riesco ad accettare che mi odi.
Non lo accetto, davvero.
Ha scelto volontariamente di togliere le notifiche da tutti i miei profili, in modo che non sappia che cosa faccio. Non riesce nemmeno a guardare il mio nome. Mi odia, mi odia profondamente per quello che gli ho fatto. Non decidere di andare con lui in America. E devo prendermi le mie conseguenze e le mie responsabilità per questa mia decisione. Ma l'ho fatto per me, non l'ho fatto per lui.
L'ho fatto per potermi sanare, per poter prendere sicurezze, perché mi veniva l'ansia a prendere l'aereo e a stare così tante ore lontana da casa senza nessuno. Avevo una paura fottuta di andare là e non sapere come mettere a posto le mie cose. Però mi sento comunque afflitta dai sensi di colpa. Come se l'avessi lasciato solo a soffrire. Perché non ho creduto abbastanza in me e nella coppia per farcela. Non ci credevo abbastanza e ho avuto paura. E la paura mi ha fatto rimanere qua.
Mi sono tolta un peso? Sì, sicuramente sto meglio che vivere ogni giorno con l'idea che tra qualche mese, qualche settimana o qualche giorno sarei andata là. Eppure adesso devo vivere con i sensi di colpa di quello che ho fatto. Perché la mia paura è stata così forte da non farmi andare là? Perché penso che comunque sia, non ho fatto bene ad andare là? Perché mi lego ancora all'idea che andando là sarebbe tutto andato per il vesto giusto, pur avendo fatto la mia decisione? Perché vivo una vita di regrets piuttosto che una vita di presente e futuro? Perché continuo a torturarmi tutti i cazzo di giorni dicendomi che ho fatto male, ho sbagliato e che alla fine aveva ragione lui? Perché penso di riuscire ancora a raggiungerlo quando in realtà è tutto finito? Lui mi odia. Non mi vuole né vedere né sentire. Non mi vuole. Punto. Mi odia. Non mi ama, mi odia infinitamente e io non riesco a farmene una ragione. Mi lego ancora a questa speranza che lui torni indietro, ma lo sappiamo benissimo tutti che lui non lo farà, l'America è il suo posto, la sua vita, non lo sono io. Non rinuncerebbe mai adesso come adesso a tutto quello per cui ha lottato così tanti anni per me. Eppure queste ultime frasi di convincimento le sta scrivendo la mia testa, non il mio cuore o questa cazzo di speranza che prega che lui ritorni, una volta per tutte, mi venga a prendere, mi venga a salvare da questo mio dolore, da questa mia immobilità costante perché ho paura di vivere. Sono stanca di vedere film in cui le persone si risolvono solo perché hanno la botta di culo di avere una persona che creda in loro e che le danno una possibilità. Ma qua, nella mia vita, chi cazzo crede in me? Chi è che mi dà questa botta di culo per andare avanti? E' lui che è stata la mia botta di culo. Che mi ha trascinata ovunque. Che mi voleva salvare. Ma io non ho voluto farmi salvare. Non ho voluto. Non era portarmi in America che mi avrebbe salvato dalla mia incapacità lavorativa, dalla mia paura di morire, dalla mia ansia, non mi avrebbe salvata. Non era per me il mio modo per essere salvata. Io volevo solo che mi ascoltasse e mi stesse accanto. Non volevo che mi desse consigli, volevo solo che mi dicesse che andava tutto bene, che nonostante tutto lui sarebbe stato comunque accanto a me, qualsiasi cosa fosse capitata. E dove cazzo è lui, eh? In America, che mi odia e io sono qui, in Italia, ad ammorbarmi ogni cazzo di giorno per capire su quale treno devo mettere il mio culo. E penso che sempre sia fottutamente sempre troppo tardi. Troppo tardi. Non riesco a correre però. Ho bisogno di fermarmi. E perché allora ho questa ansia di dovermi realizzare e fare qualcosa ma non fare niente bene e comunque continuare a stare in questa cazzo di situazione di merda? PERCHE'? Perché tutti i cazzo di giorni mi odio, perché tutti i cazzo di giorni penso sempre a lui, perché tutti i cazzo di giorni non riesco ad essere minimamente felice, spronata, motivata e penso ancora che la mia ancora di salvezza è una persona che NON mi vuole vedere, MI ODIA ed è dall'altra parte del mondo?
PERCHE'?
PERCHE' NON RIESCO MAI A LIBERARMI DI UN CAZZO? NON RIESCO AD ALZARMI COME SI DEVE E REAGIRE? PERCHE' NON CE LA FACCIO?
Perché mi piango addosso? Perché penso che tutti mi odiano e alla fine lo fanno veramente? Perché non riesco ad andare avanti con la testa e vivere con il passato nel passato e con il presente nel presente? Perché mi preoccupo così tanto del futuro? Perché voglio essere viva ma allo stesso tempo ho paura di morire appena vado in un pub? Perché mi vengono questi attimi di sprontatezza quando guardo i voli per San Francisco e andare là dicendomi che in realtà non è troppo tardi? E' TUTTO TROPPO TARDI! Lo devo lasciare andare ma non ci riesco, devo capire che ho preso la mia cazzo di decisione e devo prendermi le mie responsabilità, devo alzarmi, combattere e ricordarmi che forse ce la posso fare MA NON RIESCO A FARCELA, NON CE LA FACCIO, NON CE LA STO FACENDO. Tutti vanno avanti e io sto indietro a guardare e a piangermi fottutamente addosso, VOGLIO ANDARMENE, VOGLIO ESSERE FELICE, VOGLIO NON AVERE PAURA, VOGLIO LASCIARE ANDARE, VOGLIO AMARE LIBERAMENTE SENZA NESSUNA CONDIZIONE AL CONTORNO, NON VOGLIO AVERE PIU' PAURA, NON VOGLIO AVERE PIU' PAURA, NON VOGLIO AVERE PIU' PAURA. Voglio brillare, voglio spiccare, voglio realizzarmi, voglio amare, voglio essere amata, voglio un lavoro che mi soddisfi, voglio Maya tutti i cazzo di giorni assieme me e sentirla russare, voglio i miei gatti che mi saltino addosso e farmi le fusa, voglio mia madre che mi apprezzi per quel che sono e non perché stavo per andare in America, voglio mio padre che capisca che il mio blocco è anche perché pone troppe aspettative su di me, voglio vivere, voglio vivere, VOGLIO VIVERE, non voglio essere giudicata dai miei amici perché non sono andata in America, voglio essere difesa per le cose giuste, voglio essere compresa, voglio urlare, non voglio più sentire le cazzate della gente che non sanno stare al mondo, voglio essere ascoltata, VOGLIO UN'ILLUMINAZIONE, voglio vivere, VOGLIO VIVERE, NON VOGLIO PIU' AVERE PAURA, VOGLIO VIVERE, VOGLIO ESSERE FELICE, VORREI ESSERE FELICE, VORREI ESSERE PIU' SERENA, VOGLIO RITROVARMI E NON PERDERMI PIU', NON VOGLIO PIU' SENTIRMI UN FALLIMENTO, VOGLIO ESSERE REALMENTE IMPORTANTE PER QUALCUNO MA PER LO PIU', VOGLIO PER LA PRIMA VOLTA ESSERE IMPORTANTE PER ME STESSA.
Voglio tutto, voglio niente, vorrei solo che mi lasciassi andare, che ti lasciassi andare, non voglio più sensi di colpa, vorrei solo essere matura, responsabile, decisa, e sapere come cazzo fare tutte queste cose che voglio....

lunedì 24 febbraio 2020

Ognuno ha il suo tempo

Ebbene sì, sono tornata a scrivere.

Come sta andando da quando ho preso la mia decisione? Non bene. Sto facendo fatica ad ambientarmi ad una nuova prospettiva della mia vita.

Mi sento una fallita. Ecco come mi sento.
Non so cosa voglio da me, non so cosa desidero, non so cosa mi appassiona, ma - come avevo scritto in alcuni post precedenti - da qualcosa dovevo pur iniziare.
E ho iniziato! Sbagliando di nuovo.
Il punto è che sento che è tutto troppo tardi. Troppo tardi per fare un'inversione di marcia sul mio futuro, iniziare una nuova università, troppo tardi per trovare cosa mi appassiona e a cosa voglio dedicare 8 ore al giorno per 5 giorni per chissà quanti anni. Troppo tardi per incontrare qualcuno e costruire qualcosa di buono, tutto troppo tardi.
Poi il punto è che continuo a paragonarmi con gli altri. Tutti almeno hanno un punto fermo nella vita, o qualcosa da cui partire. Sinceramente non sono capace a fregarmene e dire "Ehi, ognuno ha il suo tempo, io probabilmente avrò il mio anche se rispetto al tuo sono in ritardo, ma nella mia dimensione, ecco come gira il mio orologio". Il mio orologio non combacia con le aspettative che ho nella vita.

Mi sento ferma mentre vedo tutti andare avanti, in un modo o nell'altro. Crescere, realizzarsi, apprezzare quello che sta intorno, essere sereni.. Tutte componenti che in questo momento non sento di avere. Tutto cambia e io rimango ferma. Mi sento spettatrice del tempo che passa.

Mi piacerebbe a cambiare qualcosa di me, anche il più piccolo cambiamento sarebbe uno smuovermi da questa situazione di immobilità totale. E tutto viene di conseguenza.. Ma cosa sacrifico ancora? Cosa devo fare per apprezzare di più, fare di più e farmi scivolare tutte queste circostanze addosso? Cosa posso fare per raggiungere la serenità interiore che tanto cerco?
Sono partita da me, ho rinunciato alla mia relazione per questo.. Ma non basta. Nulla non è mai abbastanza, non mi sento mai abbastanza. Mi sento sempre un passo indietro, in una corsa contro il tempo. Mi sento come in quei sogni dove tenti di raggiungere qualcosa ma non riesci a muoverti.

Mi manco. Mi manco terribilmente. Mi manca essere me, tenace, entusiasta, frenetica, goffa, genuina. Mi manca credere in me stessa. Mi manca sentire che qualcuno credi in me. Sembra che nella vita abbia imparato solo una cosa: l'arte di perdere. Perdere le chiavi, perdere le foto, perdere le persone e, infine, perdere me.

Non tutti possono farcela nella vita... e se fossi una di queste?

mercoledì 29 gennaio 2020

Una serie di sfortunati eventi

Sono una persona negativa, vittimista, catastrofica, superstiziosa e chi più ne ha più ne metta. E ho un problema con l'ansia.
Questa è la storia di come la mia malattia ha vinto sull'ultimo anno della mia vita.

Sono sempre stata una ragazza proattiva, piena di entusiasmo e intraprendente. A prescindere dal mio vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto in tutte le cose. Mi lamentavo, mi abbattevo, ma mi sono sempre tirata su le maniche. Per citare una mia amica, sono sempre uscita dalle situazioni con le mie gambe, sebbene avessi qualche strascico. Questa volta non è così: sfortunatamente, se la natura del mio carattere è sempre stato un peso da portarsi dietro, con l'ansia invece è tutta un'altra storia. E' come avere una persona sempre accanto che ti sveglia nel bel mezzo della notte e ti continua a scuotere per non farti dormire. O che ti tira i pugni nello stomaco quando stai mangiando. Ti urla anche addosso quando stai tentando di concentrarti e ricordare e ovviamente, il risultato finale è molto scarso.
Questo è vivere con la Signora Ansia. Non è difficile sentirla nominare nelle conversazioni delle persone: "che ansia lo studio", "che ansia 'sta persona" eccetera eccetera. Il punto è, che noi ci giochiamo sopra, sembra che tutti ce l'abbiano, ma solo in pochi se la trascinano veramente per le sedici ore di veglia.

Ed è così che ho iniziato a stare male.
Avevo iniziato il 2018 con il botto: avevo iniziato ad andare da una psicoterapeuta, avevo realizzato che la relazione con il mio ex ragazzo era tossica e l'avevo lasciato. Nel mentre avevo il periodo esami da affrontare e la poca voglia di studiare. Ed è così che mi sono ritrovata. Ero stanca delle opinioni e giudizi che il mio ex mi aveva riversato addosso, dell'incapace che mi faceva sempre sentire e dei tradimenti che mi faceva subire.
Volevo scappare. Volevo andarmene il più lontano possibile da una città che vedevo ormai come stretta, che non mi offriva nulla se non brutti ricordi per relazioni negative. Volevo la mia indipendenza, affermarmi e uscire dalla mia confort-zone. Volevo ricominciare, da capo, con calma, partendo da me stessa. L'ansia in quel periodo era solo una neonata, non era capace di intendere e di volere ed era latente, nel mio corpo, controllata e schiacciata in un angolo del mio stomaco (è da lì che mi nasce). Ho iniziato a vivere. Viaggiavo, mi divertivo e sapevo che avrei mollato tutto per poter riscattarmi. Ed è così che ho rincontrato nel mio cammino Fabio, un ragazzo che avevo conosciuto in Università durante la mia triennale, che aveva vissuto in America negli ultimi quattro anni e che era stato sbattuto a Londra perché aveva perso il visto. Ed era incazzato, molto incazzato, voleva solo ritornare là e ricominciare a viversi la vita grandiosa di prima. E abbiamo fatto click. Due persone intraprendenti, attive, con una voglia di vivere immensa, hanno deciso di fare una pazzia e iniziare una storia a distanza. Ed è andato tutto bene fin quando l'ansia ha incominciato a crescere, fino a diventare un'adolescente.

Ero in Francia, in un paese sperduto a fare l'Erasmus e ho avuto un blocco. Dovevo cercare un tirocinio su cui avrei dovuto scrivere la mia Tesi di Magistrale. E il tirocinio doveva essere a Londra, in modo tale che mi potessi avvicinare a lui. E da lì sono iniziati i pianti, le grida isteriche e la frustrazione: non mi sentivo abbastanza brava da poter passare un'intervista per essere assunta temporaneamente. Crollo totale. Ho fatto tutti questi anni di università per capire che cosa in particolare? Che l'università non serviva un cazzo, che tutte le cose che ho imparato a memoria sono svanite nel nulla, che non mi ha insegnato nemmeno a fare un semplice esercizio di programmazione. Cosa cazzo ne sapevo io di programmazione? Di networking, di Python, di C++? Non ne sapevo - e so - nulla. E Fabio è stato un angelo, mi ha aiutata a fare i curriculum, mi ha preparata, su grandi linee, per le interviste e mi aveva dato un calcio in culo di supporto. E ho trovato il tirocinio. E sono riuscita a vivere in Inghilterra.

E voi mi dite, beh? Chi esce dall'università sapendo qualcosa? Chi fa bene le sue prime interviste?
Queste domande sono valide se ti confronti con persone normali che nella vita hanno fatto cose normali. Io mi confrontavo con un ragazzo che aveva finito l'università in America (e in Italia contemporaneamente) con un anno di anticipo, e che aveva trovato lavoro nella compagnia tech più importante al mondo in Silicon Valley il giorno dopo la laurea. E non è che queste possibilità gli sono piombate dal cielo (di sicuro i soldi per permettersi di vivere e studiare in America sì, se il cielo equivale ai genitori). Ma se li è guadagnati. E dall'altra parte vede una ragazza sconfortata che crede di non sapere un cazzo di quello che ha studiato e che non sa che cazzo farsene di una laurea in Ingegneria, dato che le fa cagare.

La convivenza va alla grande. Ci amiamo, ci viviamo ogni giorno. Ed adesso arriva il bello. Il bello è che mi chiede di vivere a San Francisco assieme a lui. Sapete, quando ho realizzato che mi ero innamorata di lui, mi sono immaginata a San Francisco, in una casa illuminata, piena di scatoloni con me e lui che tentavamo di sistemare le nostre cose mentre ridavamo. Per me davvero l'idea di andare a San Francisco era l'idea perfetta. E si parlava del 2018. Nel 2019, io ero appena tornata da un Erasmus in Francia, approdata in Inghilterra e iniziato la mia prima pseudo esperienza lavorativa, in cui ero in panico totale. Non mi sentivo capace e non mi sentivo abbastanza. Tornavo abbattuta a casa e molte volte cercavo di lavorare da casa per evitare di mettermi a confronto con un laboratorio pieno di geni. Ed era l'ultimo step importante per me per poter finire finalmente questa maledetta università. Volevo solo pensare a quello: vivere con Fabio, prendere la laurea e capire che cazzo fare della mia vita. Ma non potevo. Lui diventava sempre più pressante, mi diceva che volevano offrirgli un posto di lavoro in Inghilterra che era da favola per l'età che aveva lui, ma che ovviamente lo portava ad allontanarsi dall'America. Inizialmente l'ho sempre spinto a prendere la posizione manageriale, ma lui diceva che non gliene fregava un cazzo, che Londra gli faceva schifo e che voleva ritornarsene dall'altra parte del mondo. E io invece volevo solo pensare di tagliare il traguardo della laurea. Quindi ho iniziato ad evitare tutti i discorsi relativi agli USA e continuavo a torturarmi - da sola - l'autostima a lavoro. E infine la decisione doveva essere presa.

Quindi i discorsi erano due: o rimanevamo in Inghilterra un altro anno e mezzo, lui con una posizione da manager, e se riparlava più tardi o ce ne andavamo a San Francisco a Gennaio.
E voi mi direte: cazzo che figo! Vai! Muoviti! Prendila l'occasione!
Il punto è che mi ricadevano addosso due possibilità: quella di non far realizzare il sogno americano del mio ragazzo, e sentirmi responsabile della sua mancata realizzazione - per quanto erano in accordo entrambe le parti, e per quanto io penso che lui me l'avrebbe fatta pesare - o il provarci. E che ho fatto? Ho accettato di andare.
E da qua la mia ansia è diventata adulta, tirannica. Ha incominciato a schiacciarmi giorno per giorno, mi colpiva forte sullo stomaco al mattino e mi faceva venire i batticuore durante durante la giornata. Poi ha incominciato a impossessarsi dei miei piccoli lati positivi: si è portato via l'entusiasmo in primis, e non sono più riuscita a godermi le cose, sebbene prima facessi abbastanza fatica a farlo. Poi ha fatto subentrare la paura e ha risvegliato in me una delle fobie più grandi in assoluto, la paura di morire. E così si è presa anche la mia vita. Facevo (e faccio tutt'ora) fatica a fare le cose più comuni, come il prendere la metro a Londra, o il prendere il bus, ogni volta che entravo in Uber avevo paura che l'autista fosse un serial killer e mi volesse o ammazzare o stuprare. Ha reso ancora più invivibile la mia paura di prendere l'aereo, facendomi vomitare e camminare ininterrottamente per casa prima dei viaggi, che erano diretti o verso casa o verso Londra. La Paura mi sussurrava all'orecchio di non andare in discoteca perché avrebbe potuto succedere come a Parigi. E ogni volta che tentavo di combattere queste mie sofferenze, il cuore mi pulsava nelle orecchie, tremavo, mi veniva il panico, mi veniva da controllare le persone che erano accanto a me, per vedere se erano in procinto di fare qualcosa cosicché potessi scappare il più velocemente possibile. Non riuscivo ad andare al cinema perché avevo paura che un pazzo sarebbe entrato e avrebbe sparato in sala. E se ci andavo, controllavo tutte le persone che arrivano e si alzavano per andare chissà dove e le controllavo e dicevo a me stessa che non vedevo l'ora che finisse il film così che io potessi tornare a casa sana e salva. Dentro i mezzi pubblici, se potevo, mi rinchiudevo dentro i bagni per sentirmi più sicura.

E' vita questa? E' vita credere che tutto ciò che ti sta attorno è un pericolo e che te devi fare costantemente attenzione a quello che ti circonda?

Mi ha lentamente fatto morire dentro. E ancora adesso vivo ma non riesco a godermi nulla, con l'idea che tanto tutto può finire in un attimo e io non ho ancora vissuto abbastanza, avuto sufficienti esperienze, eppure me ne privo di tutte.

E quindi ho chiesto aiuto per questa ansia. Sono andata da un'altra psicoterapeuta e ho iniziato a capire il motivo per cui ce l'avessi. E non ne ho ricavato nulla. Fabio mi aveva detto che sarei dovuta andare dallo psichiatra, prendere due pastiglie e finirla lì. Ma io non volevo riempirmi di psicofarmaci per un motivo, ancora a me sconosciuto, ma da di cui sono consapevole che è più psicologico che fisico. E forse, anzi sicuramente, la maggior parte di questi effetti negativi sono dovuti alla partenza. Tutti se ne erano accorti tranne me. Tutti l'hanno capito tranne io. Fabio l'aveva intuito, ma preferiva non darci considerazione, altrimenti il suo sogno di andare in America assieme sarebbe crollato.

E quindi arriviamo al punto decisivo. Era talmente struggente l'ansia che avevo deciso di prendermi del tempo per me, risolvermi i miei problemi, e poi affrontare la questione dell'America più tardi. Ho preso pure un merdoso internship in Italia per poter iniziare anche a prendere confidenza nel mondo del lavoro e riuscire a capire almeno cosa (non) voglio.
Eppure questa cosa mi distruggeva. E mi distrugge. Presa la decisione di ritardare tutto, con una certa riluttanza e rabbia di Fabio, l'ansia non mi ha lasciato respiro. Appariva durante il giorno e mi continuava a dire che non era cosa per me andare in America. Non è cosa. Che non ce l'avrei mai fatta. Che se prendevo quell'aereo morivo. Che saremmo caduti in mezzo al pacifico. Che sarei arrivata là e in realtà mi sarei sentita sola. Che Fabio in realtà ha preso questa decisione non per me ma per sé stesso. E mi faccio film mentali. E più continuavo a ingoiarmi la situazione dell'America, più mi incattivivo, me la prendevo con lui per non darmi attenzioni, per guardare troppo verso questo progetto futuro, che per me era ancora remoto, e per lui così imminente, me la prendevo perché lui era arrabbiato con me, perché l'ho lasciato con il culo a terra, perché sarebbe dovuto partire da solo quando era una cosa che abbiamo progettato assieme, per quanto io non senta mia.

Ed eccomi qui. A perdere l'occasione della vita di vivere in America, farmi un'esperienza della madonna all'estero, dal punto di vista lavorativo e personale. A perdere il mio ragazzo, perché già ragazzi, l'ho perso. Non ce la faceva più. E di per sé non ce la faccio nemmeno io più di me stessa, ma ho talmente paura di morire che appena prendo una forbice per tagliarmi non faccio ferite troppo profonde. Ma, se ne avessi il coraggio, l'avrei chiusa molto tempo fa. Mi sarei uccisa molto tempo prima, perché tanto, quella che sto vivendo, non è vita.
Non è vita.
E lo amo ragazzi, e l'ansia e quindi io, di conseguenza, sto perdendo l'uomo perfetto per me perché non ci riesco. Non ci arrivo. Non so perché non ce la faccio, non so perché non voglio, non so perché ho questo blocco fisico. Non so perché mi vengono i dolori allo stomaco all'idea di prendere l'aereo, trasferirmi là, vivere la vita più bella con la persona che amo. E sarà perché ho paura di prendere l'aereo? E se fosse quella a bloccarmi? O la paura di mettermi in gioco? Magari non lo amo abbastanza? Ma l'amore si presenta davvero con l'inseguimento incondizionato?

Lui non mi vuole più. Chi vorrebbe una persona che vive con l'ansia tutti i giorni? Che pensa al suicidio ma non è in grado di far nemmeno quello? Che vuole realizzarsi lavorativamente ma non sacrifica un po' del suo tempo, dedicato a cazzate, per aprire un libro di programmazione? Che parla ma non agisce? Che vive ma non vive? Ma che persona sto diventando? Io non sono così, ma non riesco più a ritrovarmi e mi sento persa nel buio più totale. Non riesco nemmeno ancora a realizzarlo e al solo pensiero che Fabio non mi è più accanto mi rende vuota, apatica, mentre il pensiero che sto perdendo tutto perché ho un blocco, di cui non so nemmeno spiegare, irrazionale, inspiegabile, ma palpabile, di cui non so né la provenienza né perché ce l'ho, mi rende disperata, ma io ho bisogno di agire!!!! DEVO FAR QUALCOSA! DEVO CHIUDERE E DISTRUGGERE QUESTO CIRCOLO VIZIOSO, DEVO!!!! Ma come cazzo faccio? COME FACCIO? Come faccio a sotterrare questo disagio, come faccio a risolvermi, come faccio a darmi una possibilità e non perdere il mio ragazzo?
Come faccio a superarmi? COME POSSO AFFRONTARE UNA SENSAZIONE IRRAZIONALE E DI DUBBIA PROVENIENZA PER VIVERE DI NUOVO? CHE COS'HO?????

venerdì 2 agosto 2019

Happy birthday to me

Domani, 3 agosto, farò 25 anni. 25 fottuti anni. Un quarto di secolo.
Cosa ho imparato?

Ho perso interesse nella vita. Non so che cosa voglio fare e mi sento persa. Dovrei prendere, avere voglia di vivere, viaggiare, cambiare il mondo, mentre io STO BENE e ripeto, STO BENE a casa. Nelle mura della mia cameretta. A non fare un cazzo. Scrollare Facebook o Instagram tutto il giorno per vedermi stronzate.

Anche il mio ragazzo l'ha notato. Mi chiede sempre che faccio e oggi, un giorno prima del mio compleanno, mi ha detto che dovrei cercare qualcosa che mi interessa di più o che almeno mi appassioni, anche se non centra un cazzo con il mio lavoro (che, attenzione attenzione, non mi interessa minimamente - strano, no?).
Non abbiamo litigato, mi ha aperto gli occhi. C'è qualcosa che non va in me e ciò che non va è il vittimismo cronico in cui sto vivendo da tantissimi anni. Perché lo faccio? Perché è l'unica cosa che mi mette sicurezza: dare colpa agli altri, a situazioni, a relazioni non fa altro che allontanare la responsabilità su di me. C'è un mio caro amico che mi ha detto: "sai, quando c'è una situazione che ti mette in difficoltà agisci in due modi: dai la colpa a qualcosa e cambi subito discorso". Mi ricordo anche che gli avevo dato ragione, ma ho dimenticato la soluzione a questo mio problema, che probabilmente mi ha dato, ma io ero troppo impegnata a trovare capri espiatori nella mia vita a cui dare la colpa per giustificare questo mio comportamento.

E adesso, la voce della verità: la persona con cui vivo assieme da 5 mesi, che mi ascolta tutti i giorni e che cerca di essermi di sostegno più di altra cosa al mondo si è fatta sentire. Basta, fai qualcosa della tua vita e cerca di cambiare questa tua abitudine. Mi ha anche consigliato esercizi mentali da fare in modo da poter migliorare questo mio difetto: ogni volta che faccio qualcosa di sbagliato, pensarci 5 minuti e chiedermi "come posso evitare di ricapitare di nuovo nella stessa situazione?", trovare la risposta e fine. Imparare dai miei sbagli. Facile no?

E' tutto così logico, ma la mia mente ha strani modi di lavorare e non riesco ad arrivare a queste soluzioni così straight-foward. Ovvie. Fai una cosa, pensaci e non farla più nel caso sia sbagliato. E allora mi chiedo, cosa porta la mia mente a ricercare colpe nel passato? Perché non riesco a prendermi responsabilità dei miei sbagli? Perché sono una persona di merda? Probabilmente sì.

Stavo ripensando, qualche giorno fa, a come mi comportavo quando ero alle medie. Ero una stronza colossale. Non so nemmeno come abbia fatto ad arrivare a livelli così elevati. Mi ricordo che ero ad un compleanno di una mia amica, avevo saputo qualche giorno prima che lei mi aveva sparlato alle spalle e i miei amici di allora mi avevano subito riferito tutto ciò che lei aveva detto. Sapete che ho fatto? Ho preso carta e penna, scritto una lettera cattivissima con la complicità dei miei amici e gliel'ho letta ad alta voce durante la festa. Lei si era messa a piangere e io le avevo detto che era una brutta stronza. Ma chi era in realtà la stronza tra le due? Lei? I ragazzini si sparlano sempre alle spalle, con il senno di poi avrei detto a me di 13 anni di evitare di fare quella clamorosa stronzata e di far scivolare la situazione nel dimenticatoio. E invece no. La stronza ero e sono io.

Col passare degli anni, penso che il mio aspetto più stronzo si sia affievolito, e tutte le insicurezze che ho coperto tramite l'essere stronza e la più forte di tutti e il vittimismo siano diventate più forti che nemmeno quelle difese che mi ero costruita - e mi sto tutt'ora costruendo - siano abbastanza. Alla fine, i nodi vengono sempre al pettine. Il pettine in questo momento è il mio ragazzo attuale, il fatto che devo cercarmi un lavoro dopo l'Università e la mia mancanza di interesse verso il mondo.

Well, it is time to change. Non posso dire di non essermi circondata di persone interessati, il mio ragazzo si interessa di economia, politica, ingegneria, musica e cinema (anche se certe volte credo che manco lui sta credendo alle parole che sta dicendo), la mia migliore amica ha fatto una start-up, l'altra va in giro per la Russia a girare documentari e quell'altra ancora, che così tanto best-friend non è più, si è fatto comunque un mutuo per la casa e ha iniziato una radiosa carriera da giornalista.

E io che cazzo ho fatto? Ok, ho deciso di andare a vivere all'estero, 7 mesi spesi nella città buco di culo di Limoges, che non auguro a NESSUN Erasmus student di andare, e 5 mesi nella grigia Londra, che è una città piena di cose da fare ma costosa come la merda. Ok mi sto per laureare (si spera) ma cos'è che mi appassiona davvero? La psicologia davvero? Farmi i cazzi della gente?

Non è che non mi appassiona quello che sto facendo perché non sono naturalmente portata e mi costa fare sacrifici per quello e non ho minimamente voglia? Pigrizia totale?
Oh potrebbe essere. Ed è quella più quotata. Ma da qualcosa dovrò pur iniziare.

Si inizia.

sabato 15 giugno 2019

Lontana da casa

Oggi sono 9 mesi che abito in uno Stato diverso dall'Italia.
Mi si è presentata l'occasione di andare a vivere in America, a non so quanti chilometri da casa. L'idea mi alletta, ho voglia di provare a vivere in una nuova città e, per come ne ho sentito parlare, San Francisco è Disneyland per gli adulti. Oltretutto è un posto eccezionale per avere una prima esperienza lavorativa. Non sarei da sola, ma comunque l'idea di andare a vivere a 13 ore di aereo da casa mi mette l'ansia. Come posso riuscire a vivere con così tante ore dai miei genitori e dai miei amici? Ho una paura fottuta che qualcosa possa andare male e io non abbia qualcuno a cui fare riferimento.

Ecco i problemi: soffro di ansia, crisi di panico, ipocondria e in tutto ciò ho pure paura dei cambiamenti. Non ho la più pallida idea di come posso risolverli (soprattutto i primi 3, dato che me li trascino da tutta una vita), ma qua a Londra posso ancora alzare la cornetta e chiedere ai miei genitori di venire, da un giorno all'altro, nel caso di bisogno. Se sono così distante come farò? Sarà l'ora di crescere e di prendere il toro dalle corna, ma il punto è che andare da una psicoterapeuta in America non è il massimo. Non tanto per il costo, ma più che altro perché è difficile esprimersi in un'altra lingua. Era già difficile in italiano, figurati in inglese!

La paura dei cambiamenti invece me la porto dietro da 3 anni. Dopo la relazione con quel maledetto ragazzo, che diciamolo, mi ha stravolto la vita, ho sempre paura di prendere decisioni per poi prenderle nel culo. Poi per carità, non diamo tutta la colpa a quell'altro perché non sarebbe davvero giusto, ho già una predisposizione all'opposizione dei cambiamenti, ma sicuramente, quella relazione malsana non mi ha davvero aiutato, anzi, mi ha insegnato a non fidarmi del mio istinto perché, in sostanza, non ci capisce un cazzo.

Quindi farò una lista dei pro e contro di Londra e San Francisco.
San Francisco. Pro: mi dà un'esperienza lavorativa fuori dal comune, città che offre mille possibilità, eventi, feste, dove la maggior parte degli abitanti è tra i 25 e 40 anni. Vivo con il mio ragazzo. Conosco un po' di persone, sebbene siano amici del mio ragazzo. Vivo vicino al mare e il tempo è abbastanza bello tutto l'anno. Contro: vivo lontano da casa, sensi di colpa nei confronti dei miei genitori, paura di perdere i pochi amici in Italia, paura di non riuscire a realizzarmi, sia dal punto lavorativo che personale (farsi nuovi amici, per esempio).
Londra. Pro: sono vicina a casa e amici, tutti possono venirmi a trovare un weekend, città che offre molto (essendo una capitale), vivo comunque con il mio ragazzo
Contro: tutto molto costoso, città alienante e che ti rende sola, pochi amici, non guadagni molti soldi rispetto a quanto in realtà la città ti chiede, tempo di merda.

Come superare l'ansia di essere dall'altra parte del mondo e con solo una persona su cui contare?
Avrei proprio bisogno di avere le idee chiare. Un'illuminazione...